La Dr.ssa Nunzia Regano, specialista presso la UOC Gastroenterologia Centro di Riferimento NAD – Regione Puglia ASL BAT Ospedale “Di Miccoli” Barletta (BT) parliamo di Adattamento Intestinale nei pazienti affetti da insufficienza intestinale e sindrome dell’intestino corto
La dottoressa Nunzia Regano, approfondisce un tema clinico importante ovvero l’adattamento intestinale nei pazienti con sindrome dell’intestino corto. In taluni casi, spiega la specialista, esso può rappresentare un vero e proprio punto di svolta, in quanto rende possibile l’interruzione del trattamento della nutrizione parenterale. Vediamo perché.
Come sappiamo la condizione relativa alla sindrome di intestino corpo rientra nella più ampia definizione di insufficienza intestinale proprio come quelle condizioni che rendono necessario un supporto di fluidi o di nutrienti attraverso il sistema venoso per poter mantenere lo stato di salute o la crescita. In tutte queste condizioni di insufficienza intestinale cronica, quindi, il trattamento nutrizionale parenterale si pone come terapia di prima linea e come terapia salvavita sostitutiva di una funzione d’organo che è quella intestinale.
La sindrome da intestino corto e rappresenta circa il 65% globalmente di tutte le insufficienze intestinali croniche benigne che sappiamo bene si realizzano anche per altri meccanismi in altre situazioni di pseudo ostruzione o danni mucosali estesi, per esempio, come nella Malattia di Crohn, o per Fistole o ostruzioni meccaniche.
Per quanto concerne la sindrome dell’intestino corto sappiamo come le restrizioni chirurgiche più o meno estese più o meno ampie, rendono appunto un intestino insufficienti al di sotto generalmente considerato dei 200 cm, e le aspirazioni diciamo di eziopatogenesi più frequenti sono appunto le ischemie mesenteriche la malattia di Crohn, seguite poi dall’enteriti da radiazioni e dalle complicanze di chirurgia addominale maggiore, questo nell’adulto.
Sicuramente nel bambino invece situazioni di enterocolite necrotizzante o anomalie congenite proprio malformazioni congenite intestinali come l’atresia e altre situazioni sono sicuramente le condizioni ezio-patogenetiche più frequenti.
Le fasi evolutive della SIC
Dal punto di vista delle fasi evolutive nella SIC si riconosce una fase acuta, precoce, una fase di adattamento (ed è proprio questa che attenzioneremo per valutare gli outcome di questi pazienti) e una fase di mantenimento.
Le tre varianti sono sostanzialmente tre:
Per quanto concerne la severità clinica della sindrome dell’intestino corto sappiamo che le varianti sono sostanzialmente tre, che si determinano il dopo le chirurgie multiple o uniche. Queste sono
- Digiunostomia terminale
- Anastomosi digiuno colica, in cui il paziente conserva il duodeno e il digiuno e il colon in una percentuale variabile
- Anastomosi digiuno ileale in cui invece abbiamo un colon integro, un segmento di ileo variabile generalmente corto e un segmento digiunale o
L’entità, e quindi il danno malassorbitivo è legato ai tratti intestinali che rimangono; chiaramente ricordiamoci anche che esiste una variabilità di lunghezza dell’intestino tenue molto ampia e quindi è chiaro che l’entità del malassorbimento è anche poi molto molto soggettiva e unica per il singolo paziente
Molti studi sicuramente sembrano mostrare come per esempio il sesso femminile può avere una lunghezza di base inferiore dell’intestino e media rispetto al sesso maschile
Ovviamente importanti sono i tratti intestinali che rimangono perché sappiamo bene come l’assorbimento dei diversi nutrienti in termini di vitamine, elettroliti, vitamine è variabile nei vari segmenti. E se andiamo a vedere questo lavoro che parlava se era possibile cambiare la storia naturale della malattia di Chrome con l’utilizzo dei farmaci biotecnologici attualmente disponibili, vedete che se c’era un dato e un riscontro positivo su alcuni outcome – l’ospedalizzazione la chirurgia – ma in realtà quando si parlava nello specifico di intestino corto, di presenza di stomia, in realtà come vedete non c’è un outcome preso in considerazione dall’utilizzo di questi di questi farmaci.
Quindi come le evidenze attestano, attualmente malattia di Crohn rappresenta la condizione di base più importante nel determinare un intestino corto post-chirurgico.
Su un campione di pazienti attualmente in nutrizione parenterale domiciliare con insufficienza intestinale si può vedere come per il 29% sono pazienti con malattia di Crohn di questi 10, sette hanno un’insufficienza intestinale da intestino corto e due di questi pazienti sono stati svezzati dopo un anno di trattamento con Teduglutide e hanno interrotto la nutrizione parenterale.
Ora è stato anche visto come le tre varianti anatomiche diciamo risentono prevalentemente di un eziologia diversa:
- il tipo uno si realizza prevalentemente in ambito di malattie infiammatorie croniche intestinali che hanno avuto le sezioni multiple
- il tipo due prevale l’eziologia (le cause) di tipo ischemica
- nella forma di tipo tre e invece oltre all’ischemia anche le complicanze chirurgiche
A prevalere in termini di frequenza sono sicuramente le forme di tipo uno, meno quelle di tipo due, le più rare il tipo tre Questo recente lavoro ha voluto sottolineare proprio l’importanza dal punto di vista funzionale della presenza del colon in continuità e tant’è vero che come in realtà sapevamo già da molti anni prima, la garanzia della presenza del colon ci dice che anche con una quota veramente molto esigua di intestino tenue residuo esiste una possibilità di poter essere svezzati dai trattamenti di nutrizione parenterale.
Questo perché il colon ha una capacità adattativa molto importante e questo è un dato fondamentale perché il colon è in grado di riassorbire enormi quantità di liquidi – si stima fino a 6000 ml – e anche di elettroliti, come soprattutto il sodio, e perché il colon ricordiamoci e ci preserva il microbiota intestinale e si ha una variazione funzionale della flora batterica.
Come abbiamo anticipato, la presenza del colon rappresenta una possibilità nello svezzamento dalla np, abbiamo detto come dal punto di vista significativo il supporto e la gravità della sindrome si valuta sulla base dell’assunzione calorica necessaria a per mantenere lo stato di salute e dei volumi dei fluidi somministrati
La fase di Adattamento
Passando alle fasi post operatorie della sindrome da intestino corto si ha una fase acuta che quella che inizia subito dopo la resezione intestinale e dura all’incirca 34 settimane con perdite elevate e rischi di squilibri idroelettrolitico dell’equilibrio acido base e grossi rischi rischi di disidratazione. Una seconda fase che quella di adattamento su cui vogliamo soffermarci; una fase spontanea che ha una durata variabile stimata da uno anche fino a tre anni e che rappresenta quella fase su cui monto possiamo fare nella gestione di questi pazienti per favorire l’adattamento sia dal punto di vista farmacologico che non farmacologico, e quella fase in cui si realizza l’incremento della superficie di assorbimento e un rallentamento del transito intestinale e una iperfagia compensatoria del paziente stesso. Fino poi la fase di mantenimento in cui il paziente o potrà avrà raggiunto un’indipendenza dal supporto parenterale oppure sarà comprovata la sua necessità di essere supplementato.
Lo svezzamento dalla Nutrizione Parenterale
La possibilità di essere emancipati dalla nutrizione parenterale è stata affrontata in un recente studio come nel quale sono stati quantificati in circa il 38% in media di pazienti con intestino corto (senza fare una distinzione riguardo il tipo di intestino) possano interrompere il trattamento della nutrizione parenterale e questo avviene grazie proprio ai processi di adattamento che si realizzano per l’80% nei primi due anni dopo l’ultima resezione che consistono appunto in una risposta compensatoria che inizia subito dopo la resezione che dura in media da uno a tre anni e che ha una potenzialità variabile nei vari segmenti intestinali.
Il ruolo importante dei nutrienti nel lume intestinale
Nel dettaglio voglio soffermarmi sull’importanza della presenza di nutrienti nel lume intestinale ormai sappiamo tutti bene come non esiste una nutrizione parenterale totale, ma chiaramente il nostro paziente deve ricevere i nutrienti nel lume intestinale anche in minima quota, ma devono essere comunque presenti, perché è fondamentale la presenza del lume intestinale di nutrienti, avendo questi ruoli essenziali: quali il ruolo di stimolare le secrezioni pancreatico biliari, nutrienti che sensibilizzano proprio tali recettori.
Hanno inoltre la funzione di favorire l’iper afflusso nel distretto pancreatico, di stimolare il sistema nervoso enterico intestinale nelle sue azioni di modulare la flora micro biotica, di favorire la produzione di fattori crescita a livello intestinale e quindi degli ormoni stessi gastrointestinali, quindi il ruolo importante dei nutrienti nel lume intestinale
Conclusioni
È proprio quindi nella fase di adattamento da cui poi dipenderà l’outcome del paziente e la sua capacità di potersi – anche se non svezzare completamente dal trattamento – ma sicuramente di modulare di ridurre fortemente il fabbisogno nutrizionale. Ciò dipende quindi da una serie di fattori.
Ovvero, dal supporto di nutrienti da assumere per via orale e ovviamente il trattamento nutrizionale che però possiamo farmacologicamente modulare attraverso l’utilizzo di agenti anti secretori, gli agenti che regolano la motilità; rientrano inoltre, se esiste e valutabile l’opportunità per quel paziente di una ricostruzione della continuità intestinale o di tecniche – anche se poco utilizzate e poco performanti – di chirurgia non trapiantologica. Infine, la nuova anzi, attuale, frontiera della terapia con analoghi del GLP2 che si pone proprio in questa fase adattativa e qui sostanzialmente quello che abbiamo detto come secondo le linee guida Espen.
Vedi qui il video integrale
L’IICB ha diversi livelli di gravità rispetto all’intestino residuo. È una patologia complessa questa che richiede come sappiamo il coinvolgimento di diversi specialisti con un obbiettivo duplice, prevenire e correggere la malnutrizione derivante dall’IICB.
Il trattamento necessariamente è la nutrizione parenterale di lunga durata e quindi domiciliare, trattamento che può essere gravato da complicanze e quindi gestire le complicanze e soprattutto educare il paziente e il suo caregiver a provare a prevenire le stesse.
D’altronde altro obiettivo cardine è cercare di ottenere l’autonomia intestinale questo con l’intervento dietetico con l’intervento farmacologico e con le nuove terapie perché ottenere l’autonomia intestinale ovviamente porterebbe all’indipendenza dalla nutrizione parenterale e quindi l’indipendenza da tutte le complicanze ad essa correlate.
Pertanto la cura del paziente con Insufficienza Intestinale deve essere una gestione fatta da esperti proprio perché è una patologia rara, pertanto c’è bisogno di un super specialista tra l’altro coordinato da altre figure quindi una gestione che comunque è multi specialistica così come è necessario seguire le linee guida approvate a livello internazionale proprio per una gestione univoca.
Come sappiamo le linee guida sulla IICB aggiornate ricordiamo nel 2023 (vedi qui dove ne parliamo) trattano sia del della gestione della nutrizione parenterale, della riabilitazione, della gestione delle complicanze; sono linee guida complete a 360° che vanno seguite proprio per uniformare
Le problematiche mediche di cui si è ampiamente parlato (vedi qui il ns articolo) sappiamo che complicanze legate sia alla malattia di base ma anche alla nutrizione parenterale sono:
- IFALD (insufficienza epatica)
- Calcolosi della colecisti
- Calcolosi renale
- Osteoporosi
Anche queste complicanze, sono tutte prevenibili, afferma la Dr.ssa Santarpia se il paziente viene gestito da una équipe multidisciplinare specializzata nella cura del paziente con insufficienza intestinale.
Anche in questo caso ad essere essenziale sono le indicazioni le linee guida (aggiornate al 2023) di cui primo autore è il prof. Loris Pironi, ovvero “Gestione delle complicanze legate al catetere centrale venoso”. Anche qui il messaggio sotteso è l’educazione del paziente di istruire il paziente e caregiver al fine di prevenire tali complicanze e questo può essere fatto esclusivamente se il paziente viene essere seguito in un centro di riferimento specializzato nella cura della IICB in cui operano multi-specialisti e deve formare il paziente corredarlo di un protocollo di gestione scritto che verrà poi utilizzato dal paziente nel luogo di cura locale in cui abita e per l’interazione con il MMG. Il centro di riferimento dovrà altresì essere sempre disponibile 24/24 h nella gestione di eventuali emergenze.
Spesso, continua la Dr.ssa Santarpia, bisogna ammettere che questa linea di continuità e comunicazione tra centro di riferimento e realtà medico-ospedaliera locale non è sempre garantita. Questo aspetto è purtroppo derivante da un gap che è rappresentato dalla assenza di una normativa nazionale e omogenea in materia, la presenza di un sistema assai frammentato da regione a regione, alcune regioni di eccellenza quali Piemonte, Veneto e Molise, altre invece totalmente lasciate in balia di delibere approssimative.
Ci troviamo pertanto di fronte ad una criticità importante data dalla presenza di una malattia rara non ancora riconosciuta come tale. Il sistema sanitario nazionale non ha ancora assorbito il dato né la necessità avallati da ORPHANET nel 2013 che ha inserito la IICB all’interno dell’elenco delle mr.
Pertanto ad oggi ci troviamo con l’assenza di percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali codificati, con i pazienti che devono acquistare in autonomia farmaci di prima necessità di cui non è prevista l’esenzione, difficoltà di accesso a cure appropriate, in alcune regioni ricordiamo che bisogna ricorrere a protocolli ad personam per il paziente che nel frattempo rimane ricoverato allungando i tempi di degenza del medesimo. In conclusione si ha pertanto un paziente non tutelato né sul piano assistenziale né sul piano soci-lavorativo
Vedi qui l’intervento completo: